Risposta stereotipata dei cattolici quando si evoca in loro presenza il rifiuto del battesimo di Simone Weil: «Ah! l’orgoglio… ».
— In realtà, a indignarsi in loro è la manifestazione dell’orgoglio del noi contrapposto all’orgoglio — vero o presunto — dell’io.
«Ha rifiutato la verità», mi dice qualcuno.
— Credo piuttosto che abbia rifiutato la menzogna di una conversione per cui non era interiormente pronta.
— «Ha dunque preferito la sua verità alla verità», prosegue il mio interlocutore.
— Ma come posso aderire a la verità sulla base della semplice affermazione di un organismo sociale che pretende di possederla se essa non mi si impone, fosse anche in un lampo, come la mia più alta verità? È l’appello personale di Dio a dover muovere la mia fede, oppure dovrei inchinarmi senza riflettere davanti allo sfoggio delle vostre pretese di infallibilità? A tale riguardo tutti i fanatismi si equivalgono: ciascuno crede di rappresentare l’assoluto ed esige sottomissione incondizionata. Dovrei dunque abbandonarmi, con le mani legate e gli occhi bendati, a chi mi grida più forte, o da più vicino, giacché costui non può ingannarsi? Bisogna riconoscere che su questa via il marxismo si sostituisce magnificamente al cattolicesimo…
E per quale ragione i cattolici, così pronti a spiegare il rifiuto di convertirsi con intenzioni maligne (l’orgoglio invece che la lealtà intellettuale, ad esempio) si astengono dal ricercare i moventi impuri (pigrizia di spirito, bisogno di protezione o di dominio sociale…) che possono dissimularsi in una conversione? La parzialità di un simile atteggiamento fa emergere a pieno giorno la loro idolatria del sociale e del foro esteriore… (C. XXXII. — 29.4.62)
(Gustave Thibon, Parodies et mirages ou la décadence d’un monde chrétien. Notes inédites (1935-1978), Éditions du Rocher, Monaco 2011, pp. 159-160; traduzione redazionale)